Selassie
Croce etiope archivio

Anziano Rastari

Quando Sua Maestà Imperiale si rivolse alla Società delle Nazioni nel 1936, per denunciare l’aggressione fascista dinanzi alla comunità internazionale, il Suo discorso, tradotto ufficialmente in inglese dal governo etiopico, iniziò con questa espressione:

(Io, Haile Selassie Primo, Imperatore d’Etiopia…)

Leggendo questo testo, i padri della nostra fede si resero conto di come, in qualche modo, il Re giocasse sull’identità grafica tra l’ “I” del pronome personale (Io), e l’ “I” dell’ordinale (Primo), che caratterizza il nome del Re in quanto unico nella storia dell’Etiopia a chiamarsi “Potenza della Trinità”, seppur sia anche l’ultimo monarca davidico e non ve ne sia un “secondo”.

Già evidenziato dalla grammatica inglese – che comanda di scriverlo sempre in maiuscolo –  l’ “I” (pronunciato “AI”) non è altro che un’eredità simbolica dell’alfa-beto etiopico e biblico originale, in cui la prima lettera è la A (Alief, come Alfa) che indica la Persona (Akal), Dio (Amlak) e l’Io (Ane), ed il cui valore è 1, determinando così anche il carattere latino “I”, che si disegna con una retta verticale proprio come l’Alif araba. 

L’Io di Dio, come rievoca la parola stessa “D-io” in lingua italiana, è la realtà originaria di ogni cosa creata, potremmo dire la CONDIZIONE D’ESISTENZA di tutto quello che esiste, e questo è espresso nell’Antico Testamento da ciò che Dio rivelò a Mosè riguardo alla Sua natura: “Io Sono Colui che è” (Esodo 3, 14); e anche nel Vangelo, quando il Signore Gesù Cristo affermò: “Prima che Abramo fosse, Io Sono” (Giovanni 8,58).

Ecco dunque che nella Sua rivelazione regale, Haile Selassie I ha manifestato la divinità del nostro Io intelligente, della personalità spirituale creata ad immagine della natura di Dio e conferita all’uomo. E’ dunque tradizionale per i Rasta invocare il proprio Dio sempre con l’ “I” (Selassie-I, Rastafar-I), e anche anteporlo alle parole per comunicarne la concezione spirituale (I-ses/Praises, I-ver/Forever, I-tal/Vital). Così facendo esprimiamo la nostra coscienza d’essere un riflesso della Divinità, e nella relazione con Essa, divini noi stessi. Infatti, il tempo del Regno di Dio e della Venuta Gloriosa di Cristo è quello in cui gli uomini regnano con Lui, e manifestano pienamente nella propria dignità individuale la Sua potenza e sovranità: “Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando Egli si sarà manifestato, noi saremo simili a Lui, perché lo vedremo così come egli è.” (I Lettera di Giovanni 3,2) Proclamando l’attualità di questo tempo, il Re afferma: “Ora è il tempo in cui la sincera credenza nella parentela dell’uomo con Dio deve essere il fondamento per tutti gli sforzi dell’uomo per l’illuminazione e l’apprendimento” (Convocazione dell’Università 19 Dicembre 1961).

E’ interessante notare come questo mistero sia stato rivelato anche da Dante nella Divina Commedia, in un passo completamente incomprensibile per tutti i suoi commentatori passati, che soltanto il Rasta può oggi spiegare con chiarezza. In Paradiso XXVI, 133-134 Adamo infatti afferma:

“Pria ch’i’ scendessi a l’infernale ambascia,
I s’appellava in terra il sommo bene”

Ovvero, “prima che commettessi peccato e morissi, Dio veniva chiamato ‘ I ‘ “. Come era in principio, così torna ad essere in Rastafari, che è il ritorno dell’uomo alla sua origine paradisiaca ed etiopica.

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